
“In una notte oscura,
con ansie, d’amor tutta infiammata,
- oh felice ventura!-
uscii, né fui notata,
stando già la mia casa addormentata”
(S. Giovanni della Croce, Notte oscura)
Veramente grande è la nostra fortuna quando la notte diviene il tempo dello sperimentare l’abbraccio amoroso del Padre; poiché c’è notte dove c’è abbandono, solitudine, povertà, dolore, afflizione, umiliazione, sofferenza. La notte è veramente tale quando non c’è più un appiglio, quando crolla ogni punto di riferimento, quando svanisce ogni consolazione, quando cuore e mani sono vuotati e resi pronti per un riempimento di nuova natura. Il miracolo del Natale è l’irrompere nel buio della mezzanotte di una nuova luce: gli occhi hanno veduto, le orecchie hanno udito, ma non sempre il cuore si è destato.
“Il cielo e la terra non sono ancora divenuti una cosa sola. La staella di Betlemme è una stella che continua a brillare anche oggi in una notte oscura…Alla luce, che è discesa dal cielo, si oppone tanto più cupa e inquietante la notte del peccato…notte dell’indurimento e dell’accecamento incomprensibile” (E. Stein, Il mistero del Natale).
La notte dell’abbassamento di Dio produce una frattura: con Lui o contro di Lui! Bambini innocenti sacrificano ancora le loro vite e si ode ininterrottamente il lamento delle loro madri; la lapidazione di Stefano continua sul corpo martoriato di nuove generazioni; l’Erode di allora perseguita ancora oggi, nei grandi misfatti della terra, nelle malefatte delle nostre piccole esistenze. La notte splendente di Betlemme si trasforma in oscuramento del venerdì santo: Dio è messo a morte, ripetutamente colpito da chi, dalla notte, non sa venir fuori. E da questa morte fluisce ancor più abbondantemente flutti di fiumi d’amore, nuova vita che è l’innesto della nostra alla Sua, un sovrabbondare di divinità che non cessa nel suo bisogno infinito di donarsi per il solo desiderio di amare.
Il Castello dell’anima, 31.12.05
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